Data: 12-06-2014
Paolo Borgognone a Passepartout
E’ partito in quarta l’astigiano Paolo Borgognone, nell’incontro pomeridiano di giovedì 12 giugno proponendo tesi non semplici da dimostrare.
Ha iniziato parlando della ridefinizione dell’immaginario collettivo, non solo in Occidente, su linee ideologiche ultraliberali. La costruzione dell’homo globalis come estrema involuzione individualistico-neoborghese e consumistico-libertaria del pubblico occidentale.
L’“uomo globale”, l’indistinto “cittadino del mondo” è la trasposizione sociale, il frutto avvelenato se così si può dire, del “cambio di fase” del capitalismo, da una dimensione antitetico-dialettica (dicotomia borghesia/proletariato) ad una speculativo-assoluta e di mercificazione totale (postborghese e postproletaria). Un capitalismo privo di classi sociali e dove i ceti subalterni hanno assunto i connotati ideologici, la forma mentis, di una nuova ed illimitata borghesia cosmopolita e giovanilistica, non definibile pertanto su livelli unicamente sociologici (la borghesia intesa come classe sociale) o economici (la borghesia intesa come ceto benestante che sta “nel mezzo” della famosa piramide sociale) bensì come soggetto politico ed attore sociale individuabile secondo criteri di riferimento prettamente ideologici (le velleità di far parte della “nuova classe media globale”).
Attorno allo stereotipo dell’homo globalis, il “consumatore desiderante senza frontiere”, si articola la tripartizione funzionale delle classi sociali del nostro tempo:
- una Nuova Classe Globale Finanziarizzata ai vertici della piramide sociale (i bellatores) del nostro tempo;
- una Nuova Classe Media Globale o “circo mediatico”, pretoriana o guardia bianca della prima, nel mezzo (gli oratores del nostro tempo);
- una indistinta “moltitudine desiderante” (di ottenere l’accesso al ceto sociale superiore) completamente uniformata alla cultura televisiva dominante, alla base.
L’homo globalis è l’attore sociale del processo di virtualizzazione dei rapporti politici, di classe e relazionali. L’homo globalis è portatore di una cultura di riferimento prettamente televisivo-commerciale (homo videns) ed utilizza la rete quale strumento di mediazione al fine di ottenere l’accesso al “circo mediatico”, alla società dello spettacolo, dell’immagine, del protagonismo del proprio ego narcisistico.
Tra la fase finale del XIX secolo ed la fine degli anni Settanta del XX l’accesso alla società dei produttori si otteneva, da parte dell’attore sociale del tempo (l’homo oeconomicus) attraverso strumenti d’integrazione di massa quali erano i partiti, i sindacati, ecc.
Oggi che la società non è più di produttori ma di consumatori si ottiene l’approvazione sociale attraverso il protagonismo di se stessi nell’ambito di un modello di relazioni politiche e sociali dettato dalla pubblicità.
La tv commerciale fu, tra gli anni Ottanta del secolo XX e l’avvento della società dell’internet, l’intermezzo mediatico attraverso cui modellare, con l’entusiastica adesione dei “modellati”, al processo di omologazione alla cultura della visibilità mass-mediatica, la sostanziale maggioranza dei cittadini-consumatori occidentali.
E’ ovvio che laddove si è stabilita una nuova struttura di classe centrata su soggetti sociali perfettamente interni ad una dinamica di mediatizzazione totalitaria in chiave consumistica ed atlantista dei riferimenti culturali, politici e d’integrazione delle masse perfettamente addomesticate ai processi di globalizzazione, i media possono spacciare qualunque narrazione (storytelling) per analisi.
L’economia è stata trasformata in finanza globale, il cittadino produttore/lavoratore in consumatore massificato postborghese e postproletario intento in un’ulteriore involuzione in senso virtuale dei propri orizzonti politici, sociali e relazionali, l’informazione in comunicazione, in spettacolarizzazione della notizia a fini commerciali.
Perché allora ci stupiamo se TUTTO il “circo mediatico” italiota parla di «aggressione» ed «invasione» della Crimea da parte della Russia e la knowledge class, sostanzialmente ci crede o fa bellamente finta di farlo?
E’ la naturale conseguenza di almeno 35 anni (ma già in parecchi elementi del movimento del Sessantotto se ne scorgevano i germi nocivi) di politiche culturali tese alla destrutturazione del soggetto kantiano, cartesiano, gaulliano... Non bisognava rovesciare de Gaulle in nome dell’“immaginazione al potere”? Non bisognava distruggere ogni forma di opposizione culturale (la coscienza infelice borghese...), politica e spirituale all’avvento di una società cosmopolita unificata e senza classi? Non diceva questo, quarantacinque anni fa, il leader dei sessantottini francesi Daniel Cohn-Bendit? E non dice, oggi, Cohn-Bendit, che occorre rovesciare Putin (e tutti i nemici dell’impero liberaldemocratico Usa) in nome dell’estensione illimitata del “sogno europeo”, ossia del “sogno americano” di una post-società (le moltitudini globalizzate ed individualizzate) mondiale senza classi, senza Stati, senza nazioni, senza religioni (in senso spirituale e non bigotto del termine) che non siano quelle del divertimento consumistico senza limiti e senza confini e della destrutturazione di ogni rigidità (statale, nazionale, spirituale, militare, di solidarismo o pianificazione economica e così via)?
La guerra culturale in corso è dunque tra un Occidente liberal-totalitario dove il “circo mediatico” è il nuovo clero e gli oppositori della globalizzazione (Stati, nazioni, popoli ancora per così dire, borghesi primitivi o comunque non pienamente addomesticati ai processi di ridefinizione delle classi sociali in senso di un primato ideologico e politico neo-borghese come sopra illustrato). Costanzo Preve, filosofo torinese di fama internazionale recentemente scomparso, suddivise il “nuovo clero” in due ramificazioni tra esse distinte:
- clero regolare (i detentori del sapere universitario scientifico, i professori liberal unificati al dogma di Francis Fukuyama della fine della Storia e dell’estensione della democrazia di libero mercato in ogni angolo del mondo);
- clero secolare (i controllori e gli operatori dei media generalisti, a mezzo tv e stampa, ossia i diffusori presso il volgo del mantra “non c’è alternativa” all’Occidente, alla Nato, all’economia di mercato, al dileguare di ogni forma di socialità e di “economia morale”, all’estinzione dell’idea stessa di comunità, politica, economica o nazionale).
Nell’ambito di questo quadro d’insieme, Borgognone è andato a descrivere alcuni passaggi relativi al più eclatante caso di manipolazione della percezione, presso l’opinione pubblica, di abusate tematiche lessicali quali “rivoluzione”, “dittatura”, “guerra”, “invasione” ed “annessione” tutt’ora in corso, ossia il caso ucraino del dicembre 2013-giugno 2014.
La Russia (insieme alla Siria, all’Iran ed a qualche Stato latinoamericano disobbediente al padrone a stelle e strisce) è infatti il bad boy da punire, non in quanto significante un manifesto caso d’insubordinazione geopolitica (Putin non è Chavez o Fidel Castro, è chiaro...) bensì perché (per molti versi, insieme alla Repubblica popolare cinese), con la sua stessa esistenza come Stato nazionale retto da una leadership nazional-globalista e non liberal-globalista, con una prospettiva geopolitica euroasiatica, pone in discussione, in quanto new global palyer, il dominio transatlantico a livello mondiale.
Alla diretta del dopo-festival Paolo Borgognone ha ricevuto i complimenti del pubblico.