Data: 15-06-2014
Francesca Paci a Passepartout
Francesca Paci dal festival Passepartout:
Se gli uomini non sono pronti poi a farle crescere politicamente le rivoluzioni, non c’è internet che tenga.
Sono le ore 18 di domenica 15 giugno, ultimo giorno del festival Passepartout, tocca all’unica donna presente in cartellone: Francesca Paci. Parla dal palco del Teatro Alfieri di Asti ( che ha sostituito la sede abituale del Cortile del Palazzo del Collegio per cattivo tempo). Al termine risponde alle domande poste dal pubblico e dai conduttori di Primaradio che cura il dopo-festival.
Corrispondente del quotidiano La Stampa nei paesi islamici. Prima ancora aveva lavorato alla cronaca locale di Torino, seguendo un corso in peacekeeping e imparando l'arabo. Ha scritto due libri sull'islam italiano e collabora anche con la think tank italiana Vision. Vincitrice del Premio Giornalistico Internazionale Marco Luchetta e del Premiolino Giovani, è anche conduttrice della trasmissione televisiva Nirvana, in onda su La7.
“Per tutto il 2011 non abbiamo fatto che parlare delle primavere arabe, l'onda libertaria che dalla Tunisia si era propagata in Egitto, Libia, Siria, Yemen, Barhein. I media italiani, così come quelli internazionali, erano avidi di storie di giovani ribelli decisi a rovesciare le incrostate satrapie mediorientali che i genitori avevano malmostosamente tollerato per decenni. La storia più raccontata di tutte le storie era poi quella della Rivoluzione Facebook, formula iconografica per indicare più genericamente il ruolo dei nuovi media e dei social network nella presa di coscienza dei ragazzi di piazza Tahrir (altra popolarissima icona). L'abbiamo raccontata tutti nelle sue più colorate varianti, dai video dei piccoli cortei spontanei nelle strade della siriana Homs ai tweet di Tahrir. E' indubbio infatti che la possibilità di essere collegati con i connazionali attivisti sparsi in tutte le città e simultaneamente in diretta mondiale abbia dato ai primissimi protagonisti del Cairo, Tunisi, Bengasi, Damasco, Sana'a e le altre capitali la forza formidabile di non sentirsi mai soli contro il Potere.
Ma le rivoluzioni le realizzano gli uomini e se gli uomini non sono pronti poi a farle crescere politicamente (o se non hanno il radicamento sociale necessario ad evolvere) c'è ben poco che internet possa inventarsi per tenerle in vita. Anche perché le forze della contro-rivoluzione hanno strumenti telematici come i loro avversari e molto molto di più. Così, a distanza di tre anni, gli stessi media italiani e internazionali che si erano esaltati per le immagini delle bandiere issate sui sepolcri dei tiranni hanno scritto la parola fine a quella storia decretando cha le primavere arabe sono nella migliore delle ipotesi tramontate a vantaggio dei cupi inverni islamisti e nella peggiore sono morte, archiviate, rivoluzioni fallite con buona pace dei loro volenterosi quanto sconfitti protagonisti.
La mia esperienza sul terreno nei paesi terremotati dalle rivolte del 2011 mi fa ipotizzare uno scenario più complesso. Internet (Twitter, Facebook, YouTube e le varie declinazioni di blog) è stato importante ma non determinante, come provano i dati bassissimi sulla penetrazione di new media e social network nel mondo arabo (quasi dovunque il boom di utenti segue piuttosto che anticipare le proteste). Internet cioè è uno degli ingredienti che hanno composto quella miscela esplosiva e tutt'altro che spenta. Ci sono poi gli umani con le loro pulsioni, uomini e donne (attive sempre, che i media le richiedano o che le dimentichino), figli e genitori, milioni e milioni di persone in cammino molte delle quali non avevano (e non hanno) mai neppure acceso un computer. Le primavere arabe portano la loro firma, reale e non virtuale, e portano il peso delle loro storie, le frustrazioni, l'immaturità, l'impreparazione, la debolezza di cedere al richiamo dello status quo o a quello del denaro, la paura, il coraggio dei più giovani e quello di chi ha superato l'età in cui c'è ancora qualcosa da perdere.
A che punto sono l'Egitto, la Tunisia, la martoriata Siria, la polveriera Libia e tutti gli altri paesi? I social network possono darci una risposta utile ma parziale, legata alle riflessioni di chi è connesso, una minoranza in un mondo ancora disconnesso dalla modernità e nel quale anche i tiranni hanno imparato a utilizzare la Rete. Nelle strade del Cairo o di Tunisi ci sono le altre risposte, complementari a quelle recuperabili online, un puzzle da ricomporre con pazienza per capire che le primavere arabe non sono nè tramontate nè morte, sono la tappa di un lungo percorso iniziato nel 2011 e destinato a concludersi in un tempo indefinibile, più adatto ai maratoneti che agli sprinter. “